Un nuovo equilibrio economico, basato sulla collaborazione tra imprese profit e nonprofit e sulla condivisione di percorsi innovativi per sostenere lo sviluppo sociale e ambientale. La necessità di fare rete, di individuare attori in grado di assicurare la regia di nuovi network imprenditoriali ad alto impatto e contributo collettivo.
Paolo Tomasin, esperto di politiche sociali e del lavoro, consulente di Banca Mondiale sulle misure di contrasto alla povertà e in passato docente all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (IUSVE) e professore a contratto presso l’Università di Trieste, ci racconta le potenzialità del Terzo Settore e il suo possibile impatto nell’economia complessiva. Un multiverso a volte sconosciuto, ma in grado di assicurare creatività, potenzialità e prospettive di crescite anche all’impresa produttiva e ai territori in misura virtuosa.
Dott. Tomasin, qual è lo scenario attuale in cui operano sia le aziende profit che nonprofit?
“Tra profit e nonprofit, almeno dal punto dei comportamenti organizzativi, non c’è una cesura netta, perché la dimensione sociale non è una prerogativa esclusiva del nonprofit. Nell’universo imprenditoriale abbiamo da un lato imprese interessate solo alla massimizzazione del profitto, dall’altro aziende che massimizzano l’utilità sociale. Ma nel mezzo c’è un continuum corposo di operatori, come le società benefit e più in generale le imprese che adottano in modo serio strategie di responsabilità sociale d’impresa, che propongono forme di collaborazione molto interessanti per contribuire al miglioramento della società, della comunità e dell’ambiente in maniera virtuosa”
In che modo la collaborazione tra imprese profit e nonprofit può distinguersi come modello di sviluppo per tutti gli attori economici e sociali?
“Tra società profit e nonprofit esistono varie forme di collaborazione che hanno preso forma in passato e che vanno stimolate e favorite per il futuro. In questo gioco non bisogna trascurare il settore pubblico, altro terzo spicchio fondamentale di un unico interconnesso pianeta organizzativo. Cruciale per tutti gli attori in gioco individuare i partner adatti per dare vita a collaborazioni fattive e durature. Una scelta che va fatta in maniera oculata anche dagli Enti del Terzo settore, troppo spesso restii nella ricerca della giusta collaborazione, alla quale va aggiunta una buona dose di intraprendenza e creatività”
Cosa significa agire con creatività in questo contesto?
“La creatività è innovazione, una leva strategica che può fornire spunti fantastici nell’intero pianeta organizzativo, per inventare forme nuove di collaborazione e per sviluppare e rafforzare rapporti. Esistono molti spazi interstiziali da presidiare, ovvero settori che possono essere occupati dal profit e nonprofit in modalità sinergica, senza trascurare il settore pubblico. Le triangolazioni che già esistono a livello normativo – si pensi all’inserimento delle persone con disabilità – sono interessanti e alcuni imprenditori lo hanno già capito, adottando approcci volti al beneficio non soltanto della propria azienda, ma dell’intero territorio in cui l’azienda stessa opera”
Una visione che favorisce l’interesse collettivo e non quello individuale. È possibile metterlo in pratica?
“Abbandonare la retorica individualista a favore di quella collettiva è assolutamente possibile. Anzi, fondamentale. In questo contesto, l’analisi dell’impatto è la chiave per spostare l’attenzione da ciò che faccio dal punto di vista produttivo a come contribuisco a portare cambiamenti all’interno di una comunità. I cambiamenti più importanti, tuttavia, non possono essere frutto dell’attività di una sola organizzazione, ma della sinergia tra più attori. L’impresa deve riuscire a fare rete per migliorare ambiente e relazioni sociali. All’interno di questo sistema diventa però necessario individuare attori, in grado di fare da regia per garantire attenzione al benessere comunitario, sociale e ambientale”