Quella della moda e dell’abbigliamento è una filiera spesso al centro dell’attenzione – mediatica, ma anche degli addetti ai lavori – quando si parla di economia circolare e di nuovi modelli di sostenibilità.
Tanto è che all’interno di Ecomondo, il salone internazionale di Italian Exhibition Group di riferimento per la green&circular economy, un ampio spazio espositivo tra i padiglioni della Fiera di Rimini, il Textile District, è stato dedicato a questa industry coinvolgendone tutti gli attori con un ricco palinsesto di eventi mirato a catalizzare l’attenzione verso un modello più sostenibile del settore.

Il Textile District di Ecomondo 2024

Tra i brand espositori di Ecomondo 2024 per la prima volta anche Calzedonia, che in fiera ha presentato il progetto “Life re-tights”, sviluppato in collaborazione con Golden Lady Company SpA, UNION SPA, Asendia Italy Srl e YTRES d.o.o. L’obiettivo è ambizioso: trovare una soluzione che consenta di trasformare i collant post-consumo in nuove materie prime attraverso un innovativo sistema di separazione e riciclo delle fibre. Grazie alla tecnologia avanzata e a un impianto pilota, l’azienda è in grado di recuperare il 100% della poliammide dai collant usati, mantenendone inalterata la qualità, in linea con gli obiettivi della Commissione Europea per un’economia sempre più circolare.

Questo progetto è attualmente in fase prototipale ma mira a diventare parte integrante della filiera produttiva con l’obiettivo di raccogliere i collant usati direttamente nei punti vendita per trasportarli poi agli stabilimenti e rigenerarli in nuovi prodotti, chiudendone così il ciclo di vita in modo sostenibile. Ne abbiamo parlato con Federico Fraboni, sustainability manager di Calzedonia: “Con “Life re-tights” abbiamo vinto un bando europeo lo scorso anno e miriamo a riciclare i collant in modo da creare nuovi capi di abbigliamento, nello specifico nuovi collant. Quindi parliamo di un riciclo ‘tessile-tessile’, che facciamo potendo controllare da una visione privilegiata la catena di produzione, perché all’interno della nostra azienda e con qualche partner strategico partiamo dal filo e arriviamo fino al negozio. In questo modo stiamo cercando di creare una vera economia circolare chiedendo alle clienti e ai clienti di riportare i loro capi usati nei negozi per poterli riportare in fabbrica, riciclarli e produrre poi nuovi capi di abbigliamento. Questa è la nostra volontà, non è ancora così perché in Italia manca un aspetto normativo relativo all’EPR (Responsabilità Estesa del Produttore, ndr) che ci consenta di poter raccogliere selettivamente i materiali di scarto nei negozi. Quindi probabilmente partiremo prima in Francia dove questo è già possibile, ma le attività di recupero e riciclo avverranno comunque in Italia“.

Federico Fraboni, sustainability manager di Calzedonia

Ha già visitato Ecomondo nelle passate edizioni, ma questa è la prima volta nelle vesti di espositore
“Esatto, sto vivendo la fiera in maniera più “concentrata”: rappresentando un brand espositore, in poco tempo ho avuto modo di fare molto più networking e siamo riusciti a creare dei collegamenti davvero interessanti. Sono stato assorbito da così tante iniziative dedicate alla nostra esposizione che non ho ancora avuto modo di visitare tutte le altre aree della fiera, che è gigantesca”.

Considerata la presenza globale di Calzedonia (con una rete capillare con oltre 2.200 punti vendita in 56 Paesi), il suo è un punto di vista “privilegiato” dell’industria: immaginando un percorso collettivo di settore verso la sostenibilità, a che punto ci troviamo?
Diciamo che c’è molta strada da fare in generale, perché quando si parla di sostenibilità ci troviamo davanti così tanti temi diversi che al momento su alcuni di essi non c’è neanche una conoscenza ben sedimentata per poter avanti dei progetti concreti. Faccio un esempio: quando parliamo di impatto sul cambiamento climatico in termini di emissioni di gas serra, siamo a una buona comprensione del problema e l’unità di misura è la stessa in tutto il mondo. Quando si parla, per dirne una, di biodiversità la questione invece si complica esponenzialmente anche per la specificità del problema: le stesse attività produttive fatte in Italia, per fare un esempio, hanno degli impatti sulla biodiversità estremamente diversi di quelli che hanno in Sri Lanka.
Questo pone molte difficoltà legate alla conoscenza del problema e alle azioni di mitigazione, il tema è così complesso che non penso qualcuno al mondo possa dare una risposta certa e definitiva a questa domanda così difficile, anche se sicuramente ci sono in corso diversi passi avanti nella giusta direzione“.