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L’incertezza come nuova normalità: questo lo scenario descritto durante la conferenza “Inflazione climatica: quale futuro ci attende?” avvenuta durante la 45esima edizione di Sigep, il grande Salone Internazionale della Gelateria, Pasticceria, Panificazione e Caffè di Italian Exhibition Group (IEG).

A confrontarsi sul tema centrale dell’incontro – le conseguenze, dirette e indirette, che i cambiamenti climatici stanno avendo e avranno sull’agricoltura e sulle filiere alimentari Francesca Petrini (presidente di CNA Agroalimentare), Fabio Del Bravo (direttore dei Servizi sviluppo rurale di Ismea), Luca Mercalli (meteorologo e divulgatore scientifico) e Serena Giacomin (meteorologa e presidente di Italian Climate Network).

Secondo dati Eurostat, il costo annuale del cambiamento climatico ammonta in Europa a 36 miliardi di euro. Nella sola Italia, che è considerata un “hotspot climatico” (ovvero un Paese che si sta riscaldando più rapidamente di altri, registrando variazioni importanti in temperature e precipitazioni), si pagano ogni anno danni quantificati per circa 5 miliardi di euro.

Tutto ciò non può che riverberarsi nelle filiere alimentari, che secondo l’indice IPCA nel 2023 ha registrato un’inflazione di ben +10,2%, pur senza subire fenomeni speculativi di rilievo. Gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura hanno un impatto sia sul fronte dell’offerta (con riduzioni o perdite dei raccolti, aumento dei costi, diffusione di malattie e parassiti nuovi, calo della qualità), sia su quello della domanda: secondo stime di organizzazioni come la FAO, si verificano infatti boom di richieste di prodotti alimentari proprio in quelle zone in cui l’aumento dei prezzi li rende inaccessibili.

Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da una serie di eventi dirompenti e lo scenario futuro non appare particolarmente rassicurante anche dal punto di vista geopolitico, visti i conflitti internazionali e le conseguenti crisi a livello globale.
Anche se in risposta a queste problematiche è apparsa determinante l’attuazione di politiche di sussidio emergenziale, questa – concordano i relatori coinvolti nella conferenza – non può rappresentare la soluzione per il futuro. Resta infatti imprescindibile l‘applicazione di politiche di mitigazione del cambiamento climatico, che tuttavia per essere efficaci devono vedere il coinvolgimento di tutti i paesi del mondo nella riduzione dei gas serra.
C’è ancora uno spazio operativo per agire e restare sotto i 2°C: se continueremo a non fare nulla, le conseguenze sull’agricoltura si tradurranno in eventi sempre più estremi e frequenti e in ondate di calore che modificheranno le fasce climatiche come le conosciamo e ci obbligheranno a spostare – almeno in Italia, dove il territorio lo consente – coltivazioni a quote sempre superiori: ma questo non può essere fatto all’infinito, non può essere una soluzione” ha spiegato il meteorologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli. “Dobbiamo essere estremamente flessibili: la mitigazione funziona solo a livello globale e stiamo vedendo che ad oggi non ci sono manovre sistemiche. Quello che può fare l’Italia come singolo paese è investire in politiche di adattamento, che sui territori locali funzionano e generano effetti positivi: non sono azioni che danno frutti in un anno, per cui occorre prevedere strategie di ampio respiro. Occorre mettere in atto una politica di resilienza che parte ora e che deve avere un lungo periodo di realizzazione di almeno 10 o 20 anni, o non saremo preparati“.