Alessandro Dalmasso

Quando vede le sue vetrine di mignon da 10 grammi in file perfette si emoziona ancora. “È come ascoltare una bella sinfonia”. Alessandro Dalmasso, è uno dei più grandi pasticceri del panorama italiano e mondiale. Al Sigep è di casa: qui ha vinto alcuni degli innumerevoli premi della sua lunga carriera. Figlio d’arte, apre la propria pasticceria ad Avigliana (To) a soli 23 anni. Nel 2008 vince le selezioni del Club Italia Coupe du Monde de la Pâtisserie, proprio al Sigep e l’anno dopo si aggiudica la Medaglia d’Argento. Lo stesso anno è medaglia d’oro, con la torta Ninsola, al simposio dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani che, nel 2011/2012 lo eleggono “Pasticcere dell’Anno”. Dal 2016 è presidente del Club Coupe Du Monde de la Pâtisserie per la sezione Italia. Lo abbiamo raggiunto pochi giorni dopo il suo intervento a Sigep Exp, insieme a Livia Chiriotti di Pasticceria Internazionale e ad altri grandi pasticceri e chef. “Io devo fare i complimenti a Sigep”, esordisce, “perché in un periodo in cui rischiamo di parlare solo di fatti negativi, il vostro coraggio è molto importante”.

Nel corso del suo talk, lei diceva che il 2020, al netto della crisi, è stato anche un’occasione per scoprire una clientela molto affezionata a voi, ci può raccontare qualche episodio?

Ho scoperto che il nostro ruolo di artigiani pasticceri è importante per il Paese, perché forniamo anche un genere di conforto. Quello che mi ha stupito di più è stato scoprire che alcuni dei nostri clienti si fanno anche 60 o 70 chilometri per venire da noi. C’è una gran voglia di cultura del dolce, una volta era così per i ristoranti, mentre oggi la gente si muove anche per venire ad assaggiare un dolce particolare. Non mi dimenticherò mai di una coppia di Firenze che ha colto l’occasione di venire su, in zona gialla, a fare un giro a Torino, fermandosi un’oretta nella zona degustazione del nostro locale a guardare e assaggiare i prodotti di cui sentivano parlare o che vedevano sui social. C’è una passione, una cultura che a noi gratifica tanto, perché non lavoriamo solo per vendere – che certo è importante – ma per queste che sono le vere soddisfazioni.

Tarteletta con frutta brinata

Si può parlare quasi di un turismo del dolce…

Sì questa è una chiave di lettura per il futuro. Facendo attenzione alla clientela, noi abbiamo scoperto proprio questo: che esiste anche un turismo delle pasticcerie, come dice lei.

Cosa cercano, secondo lei, queste persone che fanno tanti chilometri per venirvi a trovare?

Hanno bisogno di conferme. Io dico sempre, soprattutto coi social, che bisogna sempre mettere online solo prodotti reali. Perché i clienti girano ed è bello che ritrovino il realismo di ciò che tu pubblichi, altrimenti la delusione sarebbe devastante. E poi c’è il tema della territorialità. Qui in Piemonte abbiamo la nocciola di Cortemilia, e dobbiamo portarla alla sua massima degustazione. Infine, possiamo offrire e far sperimentare ciò che abbiamo scoperto nei nostri viaggi in giro per il mondo.

Ci può raccontare un esempio di queste scoperte fatte in giro per il mondo e riproposte in Italia?

Mi è capitato di viaggiare molto per lavoro negli Stati Uniti e ho riportato qui da noi la loro idea del cupcake, ma con gusti, colori e un’impronta tutti italiani. Una sorta di fusion, come si faceva una volta in cucina. Non ha senso riportare e copiare un prodotto di chiara matrice diversa dalla nostra, è più interessante portarlo al cliente un po’ ‘italianizzato’.

Una delle qualità che l’hanno resa famoso in tutto il mondo è la cura dei particolari, come quella dei mignon che possono arrivare a pesare appena 10 grammi. Da dove nasce questa sua passione per il minimo dettaglio?

Questo è un po’ un sinonimo di eleganza che si tramanda nella pasticceria piemontese. La regina dei Savoia aveva chiesto al pasticcere di corte di far fare dei bocconi un po’ più piccoli, perché lo trovava più elegante per le signore che andavano a prendere il tè da lei al pomeriggio. Quindi ormai fa parte del DNA della pasticceria torinese in particolare, perché appena usciamo fuori un po’ da Torino, la pezzatura si ingrandisce un po’. Il bello è proprio nel vedere questo assortimento di mignon piccoline… Da ragazzo mi ero stufato di vedere le solite paste mignon e, girando un po’ per il mondo, ho visto che ovunque andassi non si trovavano le paste mignon, quindi… ce n’era bisogno! Ora che ci penso, poi, l’amore al particolare mi è venuto fuori proprio da un paio di viaggi che ho fatto a Tokyo. I giapponesi hanno una cura del particolare maniacale, e questa cosa mi è piaciuta tantissimo. Quindi mi è venuto naturale, come un modo di essere, lavorando giorno dopo giorno e cercando di migliorare, e sono arrivato a questa ‘follia’.

Si può dire che il sul libro La Grande Piccola Pasticceria, edito l’anno scorso da Chiriotti sia una codificazione di questo lavoro?

Sì, è proprio una codificazione. Sono andato a creare delle macro famiglie, rispetto alla loro preparazione, come i tortini tagliati a chitarra, per esempio. Non avevo mai trovato niente, neanche nella mia libreria – sono appassionato di libri storici di cucina – nessun volume che le dividesse per categoria con una codificazione di appartenenza, per come vengono fatte. Nel libro parlo anche di come standardizzare il prodotto artigianale a livello estetico, utilizzando delle camere ferma-lievito su una pasta bignè, quando nessun altro le avrebbe utilizzate, perché non ha il lievito la pasta bignè.