Oggi può indossare finalmente la maglietta del Meeting, Emmanuele Forlani, dal 2019 direttore della manifestazione che si è appena conclusa e confondersi un po’ fra i volontari rimasti in fiera per lo ‘smontaggio’. Sono soprattutto loro ad averlo messo in piedi – “senza i volontari il Meeting non si fa”, sottolinea Forlani – e sono soprattutto loro a smontare gli stand, le mostre e tutto quanto è servito a mettere in piedi una 42° edizione davvero particolare e complicata da realizzare.
Siete riusciti a fare un Meeting in presenza e ben riuscito! Qual è stato lo scoglio più grande da superare e cosa ha reso possibile questo risultato?
“Da un punto di vista organizzativo, lo scoglio più grande è stato immaginarsi un momento che nessuno sapeva come sarebbe andato. Quando abbiamo strutturato la App del Meeting era il mese di gennaio e l’Italia era divisa in fasce. È stato molto complesso perché non sapevamo come sarebbe andata, abbiamo deciso di inserire il green pass, che a gennaio ancora non esisteva. Questo è stato l’aspetto più complicato, ma anche la nostra fortuna, perché se avessimo dovuto implementare la macchina col green pass a partire dal decreto del 6 agosto, non avremmo fatto il Meeting”.
Sull’esterno invece?
“La cosa più complicata sull’esterno è stata far capire che si poteva venire in sicurezza. L’altra faccia della medaglia è stata però la sorpresa e la gratitudine di quanti hanno accolto questo invito, fidandosi, perché essendo il primo evento in presenza con questi numeri, c’è stato bisogno anche di un atto di ‘coraggio’, come dice anche il titolo del Meeting di quest’anno. Quindi che 10/15mila persone al giorno abbiano varcato le porte della fiera lo considero miracoloso”.
A proposito di numeri, avete dichiarato 80mila persone in fiera, oltre 250mila persone collegate, come valuta il bilancio: è soddisfatto?
“Lo valuto un bilancio estremamente positivo, soprattutto in un momento come questo, dove nessuno si immaginava di poter vedere tante persone nello stesso posto, al medesimo momento e al chiuso con la mascherina. Se non consideriamo gli stadi, infatti, che sono all’aperto, non c’è stato nulla con questi numeri, quindi ritengo che siano significativi. È una dimensione che può crescere, ma che poi non è così male”.
Cos’ha pensato quando ha avuto la certezza che si poteva tornare ad organizzare il Meeting in fiera?
“Devo dir la verità? Non abbiamo mai avuto dubbi sul ritorno in fiera, perché abbiamo confidato sul fatto che tutti, a livello istituzionale, nazionale e locale, stessero lavorando nella direzione di consentire l’evento in presenza. Abbiamo confidato sul fatto che i vaccini andassero avanti e che le strutture fossero pronte. A gennaio abbiamo ipotizzato che il numero dei vaccini potesse arrivare in estate al 60%, in quel modo si sarebbe potuti tornare in presenza. L’alternativa non era ‘fiera o palacongressi’, ma ‘fiera o niente’.”
Si può dire che forse mai cme quest’anno il titolo l’avete vissuto sulla vostra pelle (‘Il coraggio di dire io’ è stato il tema del Meeting 2021, ndr)…
“Senz’altro! Però davvero la chiave è stata confidare che ciascuno facesse bene il proprio lavoro, a prescindere dal Meeting”.
C’è stato un episodio che le ha dato più soddisfazione?
“Sì, è stato quando abbiamo aperto le iscrizioni per i volontari. Perché quello era l’unico, vero discrimine per decidere se andare avanti o no. Per due ragioni, una organizzativa: senza i volontari il Meeting non si fa, quindi se i volontari avessero detto ‘non vogliamo rischiare, non ce la sentiamo’, a quel punto davvero non avremmo potuto fare il Meeting. L’altra, come segnale. Siamo stati sorpresi dalla gratitudine con cui ciascuno di loro ha dato questa disponibilità. E si respirava anche in questi giorni in fiera. In meno di due settimane abbiamo raggiunto il numero stabilito: non era mai capitato in 40 anni. Addirittura, per i diciottenni e i ‘maturati’, dove avevamo messo una quota bassa di partecipanti, circa 160 persone, abbiamo aperto sabato 15 maggio alle 8 del mattino e alle 8 e 40 erano finiti i posti. Quello per me è stato il segnale che si poteva fare il Meeting”.
C’è stato invece qualcosa che l’ha delusa o che cambierebbe?
“Deluso non direi, che cambierei invece tantissimo, perché poi ti accorgi in corso d’opera di quello che avresti potuto fare meglio e che in prospettiva andremo a migliorare”.
C’è qualche cambiamento che, già a caldo, avete in mente?
“Di sicuro sulla parte delle mostre. Oggi la mostra non è più a pannelli, non solo per il Meeting ma ovunque, ma è qualcosa che vive contemporaneamente in presenza e online. Questo ne cambia radicalmente l’impostazione anche in termini di programmazione, perché costruire un prodotto digitale e video ha bisogno di tempi e costi completamente diversi rispetto a prima. Su alcune mostre, penso a quella sulle serie tv, piuttosto che ‘Vivere il reale senza paura’, abbiamo avuto un assaggio di quello che sarà il futuro. Sono mostre costruite su misura su un contenuto digitale. Un altro aspetto è la ristorazione, quest’anno diffusa sui padiglioni e non concentrata – a parte il padiglione C1 – per evitare assembramenti, code e garantire maggiori spazi di relax. Sui convegni invece abbiamo sperimentato la formula di un ibrido vero, che non è più quella dello studio televisivo con poche persone, ma una sala con 1500-2000 persone e contemporaneamente online. Tolti eventi teatrali o di spettacolo, ad oggi non c’è niente di simile. Da noi il palco era concepito come studio televisivo ma in una sala da 6mila metri quadri e anche questo è stato un punto di svolta interessante che sul futuro dovremo capire come sviluppare, perché la sala con 6mila persone non credo esisterà più”.
Lei è al suo terzo Meeting da direttore, ne ha affrontato uno diciamo ‘tradizionale’ – anche se si trattava del 40° -, un’edizione ‘speciale’, quella del 2020, e una che è stata definita della ‘ripartenza’: cosa ci dobbiamo aspettare per la prossima edizione?
“Sono molto curioso di vedere il 2022, anche se faccio fatica a fare pronostici! (Ride) Di sicuro quest’anno avevo sia l’esperienza del 2019 che del 2020, oltre ai vent’anni di redazione Meeting. Francamente non sono angosciato, ma molto curioso”.
Un’ultima domanda, in parte ha già risposto: cosa l’ha arricchita di più dal punto di vista umano?
“Una cosa l’ho detta: i volontari. L’altra sono gli ospiti, soprattutto i relatori, perché anche loro hanno accettato l’invito in presenza – sono stati più del 70% quelli in presenza – e anche questo è un bel segnale, che abbiano accettato di venire, sapendo che avrebbero anche potuto collegarsi, dimostra che il Meeting non è appena l’evento o il convegno, ma è anche quello che succede prima e dopo: l’incontro, la visita ai padiglioni, il fatto di incontrare i ragazzi, di fermarsi a cena con gli altri relatori, sono tutti aspetti che online non si possono fare”.