Maria De Toni e il figlio Piero Speggiorin, designer dell'azienda di famiglia, nel loro stand a JGT Dubai 2022 organizzato da Italian Exhibition Group

Si definisce una stilista del gioiello e la sua storia professionale si è sviluppata attorno a un progetto che lega gioiello Made in Italy e interculturalità. Maria De Toni è nel settore dal 1987, quando con Auritalia ha avviato un’attività di distribuzione ed export orafo, ma è nel 2004 che ha costituito l’azienda che porta il suo nome e i suoi gioielli nel mondo. L’abbiamo incontrata a JGT Dubai.

Com’è nata la sua attività?

“Sentivo che era la risposta a un mercato che richiede e apprezza prodotti brandizzati, così ho iniziato a fare collezioni per i mercati del mondo. Alla base c’è uno studio attento di altre culture. Ma ci vuole una strategia fiera e una strategia aziendale paese per diventare un grande marchio.

Come interpreta il design del gioiello?

Propongo un design interculturale che si ispira a elementi caratteristici del paese a cui mi rivolgo. Rinforzo gli elementi culturali reinterpretando simbologie, architetture e segni grafici con lo stile italiano, per creare gioielli in cui i clienti esteri possano riconoscersi. Sono una stilista del gioiello, parto da un concept. Se lavoro su una collezione muovo da una ricerca storico-culturale. Poi mio figlio Piero Speggiorin, che è designer, lavora sulla prototipazione del pezzo perchè sia vendibile, seguendo il gusto del mercato a cui è rivolto. Per esempio il mercato europeo e i paesi dell’est prediligono tecniche di lavorazione di vuoto o a taglio laser. Apprezzano la semplicità e non amano gioielli appariscenti. In aree mediorientali vanno gioielli più opulenti, decorativi, artigianali, con inserimenti di pietre colore.

Lei ha il pallino del brand. Come può aiutare il successo del gioiello Made in Italy?

Il gioiello deve far affiorare la propria storia e identità. Dal punto di vista etimologico un prezioso è una gioia del cuore, un’emozione che racconta il vissuto. E il Made in Italy orafo, che ha radici nel 1200, ha le caratteristiche per lanciare un nuovo valore aggiunto di cui abbiamo bisogno: essere legati alla nostra grande storia (con le influenze di grandi come Leonardo da Vinci, Michelangelo) ci permette di aiutare il consumatore non solo a indossare, ma a percepire la profondità culturale della ricerca stilistica alla base della manifattura. La chiave è trovare un design interculturale che sia in grado di interpretare gli elementi cari a ogni Paese e grazie allo stile Made in Italy farlo diventare contemporaneo, indossabile e vendibile.

Una lettura che può essere la chiave anche per altre aziende familiari.

Dovremmo aprirci a una visione di squadra. Diversamente dai brand moda, che tendono ad imporre il proprio stile, il design interculturale è una forma di rispetto delle culture e delle tradizioni dei popoli, una forma di democrazia e tolleranza. Questa è la mia idea di Made in Italy stilistico, mai eccessivo ma rigoroso ed equilibrato. Un valore aggiunto che si può fare con tante aziende orafe italiane e che poi può essere brandizzato attraverso Vicenzaoro.

A JGT Dubai cosa ha visto?

È stato per la prima volta un incontro di paesi diversi non solo del Golfo, con la novità di clienti da Israele: Tel Aviv dista 3 ore da Dubai e abbiamo visto ebrei con la kippah che giravano il mondo arabo ben accolti grazie agli Accordi di Abramo. Per me una scelta illuminata che porterà Dubai ad essere un hub internazionale in cui il Made in Italy potrebbe giocare un ruolo importante da apripista con la bellezza dell’oro. L’oro è inattaccabile, in qualche modo ci aiuta a scoprire il talento che c’è in noi.

Come vede il ritorno a Vicenzaoro, a marzo?

Il ritorno a Vicenzaoro è fondamentale. L’unità degli Emirati Arabi è recente, del 1971, quindi qui sono bravissimi a creare qualcosa di nuovo portando il meglio del meglio. Ma la profondità culturale delle nostre città storiche, in particolare di Vicenza, è impagabile. Noi siamo l’originale, l’autentico. Venezia, quella vera, originale, è una città marinara antichissima che attraverso i gioielli, i manufatti, è stata capace di esercitare la sua seduzione storico culturale nel mondo, ma anche di testimoniare l’accettazione di più popoli… Ci vogliono secoli per sviluppare tale spessore e noi dobbiamo vendere questa sapienza culturale che ci caratterizza. Abbiamo bisogno di veder riconosciuto il nostro valore – anche in termini di prezzi – e perciò è necessario che le nostre sapienze siano riconosciute.

Questo è anche uno dei valori della fiera.

Le fiere servono tantissimo, sono una vetrina importante, soprattutto Vicenzaoro che ha stile e con il suo concetto di boutique è un must tra le fiere internazionali. La fiera è una casa comune. Prima era un evento dove si riusciva a convogliare tutto il mondo, ora dobbiamo creare fiere più smart da internazionalizzare come JGT Dubai, cioè vicine ai territori, più facili da visitare per certe parti del mondo. Immagino IEG, che è quotata in Borsa, veicolare sempre più il brand internazionale del Made in Italy, e immagino il nostro presidente, Lorenzo Cagnoni, come Lorenzo il Magnifico del Gioiello.