“È ancora enorme la meraviglia del nostro pubblico quando scopre che all’interno del percorso dei Musei Vaticani c’è una collezione di arte moderna e contemporanea, anche se di fatto lo scorso 23 giugno ha già compiuto 50 anni”. È la stessa Micol Forti, studiosa di storia dell’arte e direttrice proprio della Collezione di Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, a parlarci di come questa mostra generi ancora oggi grande stupore tra le migliaia di visitatori che ogni anno raggiungono Città del Vaticano per scoprirne gli inestimabili tesori artistici.

Pensandoci, non è in effetti semplice o scontato accostare concetti come “modernità” e “contemporaneità” a luoghi in cui è possibile respirare secoli e secoli di religione e arte sacra. Eppure, è proprio dalla volontà pontificia di riavvicinare questi due mondi che 50 anni fa è nata una mostra che riuscisse a ripristinare il dialogo tra Chiesa e cultura contemporanea.

Micol Forti dirige la Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani.
Micol Forti dirige la Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani dal 2000. Dopo la specializzazione e il dottorato di ricerca in storia dell’arte, ha insegnato letteratura artistica e museologia presso la Sapienza di Roma dal 2001 al 2015.

“La collezione – ci spiega la Dott.ssa Forti – è stata inaugurata il 23 giugno 1973 da Papa Paolo VI, che ne è stato anche l’artefice e l’ideatore: era salito al soglio pontificio da nove mesi e in quell’occasione ha chiamato il mondo dell’arte in Cappella Sistina per ristabilire ‘un’amicizia’ che vuol dire collaborazione, obiettivi comuni, scambio di idee e di opinioni anche quando queste non sono in armonia ma in contrasto l’una con l’altra”.

“Paolo VI – continua la Direttrice – in occasione dell’inaugurazione del ’73 usò parole fortissime: ‘i musei non sono cimiteri. La risposta è che fare parte della cultura contemporanea e vivere il nostro tempo è il solo modo di reinterpretare il passato e rendere vivi i valori che il passato ci lascia in eredità. La Chiesa deve essere nel suo tempo, nell’umanità, toccare con mano le domande che l’uomo si pone nella sua vita quotidiana e la cultura ha il grande potere di amplificare quelle domande e di offrirvi un senso universale”.

Dunque linguaggi e significati contemporanei in un luogo che racchiude millenni di storia…

“Se il senso è solo un senso storico, cioè di un tempo che non è più il nostro, è qualcosa di morto. Un senso ‘di tempi passati ormai defunti’, queste furono le parole esatte di Papa Paolo VI, il cui discorso è di grande potenza innovativa ancora oggi. Quel discorso racconta cosa oggi devono essere anche i musei vaticani, un luogo dove si costruisce la storia perché siamo attivi anche nel nostro tempo e il concetto di bellezza non si è fermato solo a Raffaello e Michelangelo, ma è una esigenza di bellezza che noi dobbiamo riuscire a esprimere in ogni tempo e in ogni luogo…”.

A proposito, lei ha allestito una mostra anche all’interno della Fiera di Rimini, durante le giornate del Meeting…

“Sì, ‘La forma delle parole: una mostra realizzata per guardare le idee dei giovani attraverso le opere su carta cotone di 11 maestri italiani dell’arte contemporanea. L’iniziativa è nata dall’idea di Giovanni Caccamo – cantautore siciliano allievo di Franco Battiato, ndr – che ha coinvolto ragazzi dai 20 ai 30 anni chiedendo loro di rispondere alla domanda ‘come cambieresti il mondo e perché?’ scegliendo un’unica parola“.

Quali parole hanno scelto i giovani coinvolti?

Parole molto significative: accoglienza, bellezza, famiglia, coraggio, gratitudine… Quello che emerge da quelle che abbiamo selezionato sono i dubbi e le domande che i ragazzi si pongono e molto spesso le paure e fragilità che si celano dietro quelle domande, che sono la linfa vitale ineliminabile affinché quei dubbi diventino poi speranze e attività.
È stato un bellissimo viaggio ed esperimento. L’aspetto più bello di questo progetto è ciò che diventerà: nel mese di novembre queste opere verranno battute all’asta per costituire un fondo a sostegno dei ragazzi che vogliono studiare e che non hanno l’opportunità di farlo grazie alla Bocelli Foundation. Un progetto virtuoso che, a sua volta, permetterà anche ai ragazzi di domani di trovare le proprie parole”.

Che parola utilizzerebbe per raccontare un luogo come la Fiera in cui i pensieri e gli incontri prendono forma?

“Ne sceglierei due tra quelle suggerite dai ragazzi e che mi hanno colpito per la loro specificità. La prima è il verbo “spargere”, che attiene all’atto della semina, della diffusione nello spazio e nel tempo di qualcosa di fertile, che sia un gesto, un’idea: in quel momento quel seme diventa altro da noi, diventa di tutti. L’altra parola è “immersione”: partecipare qui in Fiera vuol dire proprio immergersi in un mosaico composto da migliaia di persone, in un momento di condivisione e collaborazione”.