Paolo De Castro, presidente di Filiera Italia (credits Imagoeconomica)

“Le fiere, con tutto il know how ormai acquisito, sono una cartina di tornasole del lavoro prodotto dal made in Italy nel corso degli anni; specchio di un sistema Italia fatto di competenze, operatori, elevata specializzazione, aziende sempre più aperte alla ricerca e all’innovazione, di prodotto e di processo. Gli enti fieristici rappresentano una risorsa fondamentale per veicolare le nostre imprese e le nostre eccellenze nel mondo”.

Parte da questo apprezzamento sul ruolo svolto dalle fiere il nostro incontro con Paolo De Castro, europarlamentare e da poche settimane presidente di Filiera Italia, Fondazione per il sostegno al Made in Italy agroalimentare.

Un tema di grande interesse soprattutto per le nostre produzioni è il sistema di etichettatura europeo. I termini per la presentazione delle proposte al sistema Nutriscore sono ora slittati alla primavera del prossimo anno. Ma cosa dobbiamo aspettarci?

“Da anni si parla di armonizzare i diversi sistemi di etichettatura nutrizionale fronte pacco adottati su base volontaria dagli Stati membri. Parliamo del Nutriscore seguito dalla Francia e alcuni altri, del nostro Nutrinform Battery, ma anche del Kyole proposto dai Paesi scandinavi. La Commissione Ue ha però ora tolto dall’agenda per i prossimi mesi la proposta legislativa che, tra le altre, comprende anche il famigerato meccanismo a semaforo del Nutriscore. E questa è per noi una notizia estremamente positiva, perché con la scadenza dell’attuale legislatura alla fine del 2023 il dossier slitterà al 2024, dopo le elezioni europee che porteranno all’insediamento di un nuovo Parlamento e di una nuova Commissione. Di fatto avremo più tempo per convincere che il Nutriscore non va bene, perché i principi salutistici riconosciuti alla base della Dieta mediterranea rischiano di essere oscurati da un sistema che giudica i singoli alimenti e non le quantità inserite nella dieta. E questo generando confusione, anziché informare correttamente il consumatore”.

Lei è anche relatore all’Europarlamento del progetto di riforma dei marchi di tutela. Qual è la posizione italiana? Come si sta procedendo?

“La proposta di riforma degli alimenti a Indicazione geografica, di cui sono relatore al Parlamento europeo, prevede almeno quattro parole d’ordine: rafforzare i consorzi di tutela, tutelare le nostre eccellenze agroalimentari, semplificazione e sostenibilità. Il sistema dei riconoscimenti Dop, Igp e Stg è in vigore dagli anni Novanta e fondamentalmente funziona. Ma nel frattempo il mondo e i mercati sono cambiati ed è necessaria una revisione che punti a rafforzare l’impianto di legge con una sorta di Testo Unico europeo. Il nostro obiettivo è arrivare al voto in commissione Agricoltura nei prossimi mesi, per approdare quindi all’approvazione definitiva in aula entro la fine del 2023 sotto il semestre di presidenza spagnola”.

Oggi c’è un vero attacco ai prodotti tradizionali, dalla carne plant based ai latticini con proteine da latte di fermentazione ottenuto senza l’utilizzo dei bovini messo a punto da Unilever. Quali rischi in questo? Come affrontare queste problematiche che appaiono imposte soprattutto da nuove mode e stili di vita? 

“Il sistema dei prodotti sani e di qualità è sotto attacco per la pressione che centrali d’acquisto e multinazionali, non solo del settore alimentare, esercitano anche sulle istituzioni europee. Pochi giorni fa, ad esempio, il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, ha smentito che l’Unione voglia sostenere la carne sintetica battezzandola come una fake news. Peccato però che proprio lui, in un’interrogazione che ho presentato con la collega Daniela Rondinelli abbia risposto che non solo bisogna sostenere la ricerca, ma ha utilizzato i fondi di React Eu, cioè i fondi destinati al contrasto del Covid, per finanziare una ricerca sulla carne sintetica di un’importante azienda olandese. Il problema c’è tutto: parliamo di oltre 30 milioni di euro che vanno a sostenere imprese che producono cibi sintetici che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione agroalimentare”.